Il brano è un riferimento continuo alla mafia, alle condizioni lavorative delle forze dell'ordine in quel momento in Italia, e l'uso ripetuto della parola "minchia", unito all'accento siciliano, riprende il linguaggio della terra dove si erano verificate la maggior parte degli attentati.
Si classificò secondo al Festival di Sanremo 1994, vincendo però il premio della critica: un successo che continuò con il disco di platino dell'album "Come un cartone animato".
Dopo un primo pezzo iniziale, dove le parole sono soavi e accarezzano l’ascoltatore, il ritmo muta repentino, le percussioni prendono il sopravvento alzando l’asticella della pressione. Il cantante cambia accento marcando l’inflessione sicula, localizzando immediatamente il narratore della vicenda in Sicilia. Da qui l’inizio del continuo rimando a “Minchia” termine usato come intercalare ad inizio di ogni strofa.
I carabinieri posizionati presso una casa cantoniera iniziano il loro servizio raccontando l’avventura quotidiana di semplici ragazzi schierati in strada ogni giorno per far rispettare la Legge.Arriva la triste notizia. I ragazzi morti ammazzati, gettati in aria dall’esplosivo sono quelli della scorta di Paolo Borsellino, il magistrato barbaramente ucciso nella Strage di Via D’Amelio, il 19 luglio 1992. L’estate di cui si parla ci fa comprendere che si tratti di loro, anche se pochi mesi prima, il 23 maggio 1992 anche il giudice Giovanni Falcone è stato selvaggiamente ucciso insieme alla sua scorta nell’attentato dinamitardo della Strage di Capaci. In entrambi i casi a perdere la vita, oltre ai magistrati, sono diversi agenti di scorta. Il dolore lancinante e inspiegabile della notizia arriva come un vero e proprio fulmine a ciel sereno, in un periodo in cui, purtroppo, le stragi, gli attentati e gli omicidi di mafia sono tristemente all’ordine del giorno. Il linguaggio della canzone è volutamente semplice, immediato. I corpi dei caduti in servizio diventano semplici stracci, questo per sottolineare ancor di più l’inutilità di una morte simile, di un destino doloroso spesso vissuto da molti ragazzi, colpevoli soltanto di aver svolto il proprio dovere. Lo sfinimento per un mestiere e un dovere che impongono a tutti quanti gli appartenenti alle forze dell’ordine di rischiare ogni giorno la propria vita, finendo spesso ammazzati per poco più di un milione di lire al mese.
La confessione finale, con la sincerità dei vent’anni, senza paura delle conseguenze perché, per una volta, ci si apre con il proprio superiore come magari non si era mai fatto, sottolineando la propria giovane età. L’invito a mettersi nei panni dell’altro e comprendere il proprio punto di vista. Una confessione unica e profonda, uno sfogo immediato e sincero, rientrato subito dopo dentro di sé per continuare senza dubbio a svolgere il proprio dovere.
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